Tratto da La Repubblica – Genova del 30/09/2020
di Alessandra Ballerini
Al prossimo, che in mezzo a mille vere calamità (non tutte naturali) si lamenta ad alta voce della “invasione di stranieri” gli sbatto, letteralmente, in faccia questi dati inviati dal Ministero degli Interni in risposta alla nostra (dell’Associazione diritti e frontiere della quale sono fieramente socia fondatrice) richiesta per conoscere il numero preciso, la nazionalità, il sesso e l’età delle persone approdate sull’isola di Lampedusa.
Ne sono arrivate tante, ma certamente non “a milioni”; tra il il 1 maggio e il 31 agosto se ne contano poche migliaia, 11.245 per l’esattezza.
Di queste creature, che hanno tutte un nome e cognome, una storia, delle ferite e delle speranze, 1800 sono minori, 552 sono donne e 8893 sono uomini (e qualche decina di loro ultra cinquantenni).
Provengono da 33 diversi paesi, nessuno dei quali rappresenta il paradiso dei diritti umani.
C’e’ chi fugge dalla dittatura turca di Erdogan o da quella egiziana e non meno impunita di Al Sisi, chi dalla violenza dei Boko Haram in Nigeria o dalle milizie jidaiste del Mali, chi dalle alluvioni del Bangladesh, altri da arruolamenti o matrimoni forzati in Pakistan o Libia, chi prova a schivare le bombe (spesso di nostra produzione) lanciate in Siria e Yemen, chi a sottrarsi da pandemie, guerre civili, persecuzioni e povertà estrema.
Sono tutti sradicati a forza dalle loro case, dai loro affetti, dalle loro abitudini, dalla loro terra. Sono impauriti, stremati, ma vivi.
I morti invece non li conta più nessuno: scompaiono nel deserto, nelle celle libiche, nei fondali del mare e nessuno vede i loro sguardi atterriti e ascolta le loro imploranti richieste di aiuto. Sono sempre meno le navi che riescono a prestare soccorso nel mare e a testimoniare respingimenti ed omissioni, visto che le imbarcazioni delle Ong vengono sequestrate, multate, rifiutate, fatte rimbalzare da un porto all’altro o lasciate in mare aperto fino all’estenuazione.
I morti sono invisibili, i vivi destano allarme, quasi mai empatia.
Arrivano (loro malgrado) sull’Isola di Lampedusa, che è piccola e inadatta all’accoglienza sistematica di creature spesso bisognose di cure (a Lampedusa, per dirne una, manca l’ospedale), ma, se potessero scegliere, se ne andrebbero da quello scoglio e, una parte di loro, pure dall’Italia. Verso paesi dove i legami familiari, amicali e culturali sono più stretti: Francia, Spagna, Germania, Nord Europa, i più avventurosi vorrebbero spingersi oltre Manica ed altri ancora si ammalano “di viaggio” non trovando mai un posto che possa dirsi casa.
In questi giorni si discute del superamento del regolamento Dublino che oggi impone, in estrema sintesi, al paese di primo approdo di farsi carico dei profughi, anche contro la volontà dei profughi stessi, mai presa in cosiderazione.
Sarebbe certamente un buon cambiamento, ma nell’attesa (che dura già da molti anni) l’Unione Europea dovrebbe, in nome di quella solidarietà invocata per “distribuire” i profughi come fossero pacchi, aprire canali di ingresso sicuri e legali per i migranti di modo da permettere loro di non rischiare la vita nella fuga, di non arricchire le mafie dei trafficanti e di poter scegliere la destinazione finale “distribuendosi” da sé.
Perché, come direbbe il prof. Aime, le persone hanno piedi (e pure sogni, esperienze, traumi, talenti) e non radici e dunque sono fatti per muoversi, in barba alle leggi e ai confini.
foto di Mamadou Traore by Pixabay