Possiamo ancora usare la parola fratello? di Angelo Casati
del 7 luglio 2019
(nel rito ambrosiano domenica scorsa era la quarta domenica dopo Pentecoste, per la quale erano previste come prima lettura Genesi 4,1-16 e come lettura del Vangelo Matteo 5,21-24. Di seguito il commento di Angelo Casati)
Leggevo di Abele e Caino, leggevo di Gesù che ti toglie dalle labbra la parola “pazzo”, “stupido”. Mi guardavo intorno, guardavo dentro di me, guardavo a ciò che sta accadendo in questo nostro paese. E mi chiedevo: “Abbiamo ancora la libertà e il coraggio di leggere nelle chiese queste pagine e di dire che in esse Dio ci sta dicendo qualcosa?”. Non so se siamo così liberi di ridirle fuori le chiese o di attualizzarle nelle omelie, perché accovacciato, come nel cuore di Caino, è il volto adirato. Ma a noi tocca di ridirle dentro un clima di odio dilagante. Ho letto giorni fa che gli ultimi due rapporti annuali del CENSIS hanno attestato che in Italia la gente porta più rancore e che vi è una progressiva crescita della cattiveria. E allora facciamo finta di niente e chiudiamo le Scritture sacre, chiudiamo il vangelo? E ci accodiamo all’onda vincente? Verremmo meno – e non ce lo possiamo permettere – alla fedeltà alla nostra coscienza. E dunque resistiamo. E riapriamo, nonostante tutto, le Scritture sacre, riapriamo il vangelo E per fedeltà resistiamo a dire la parola “fratello”. Che peraltro, come faceva notare Enzo Bianchi, “appartiene a tutta l’umanità. Basta pensare al motto rivoluzionario francese “liberté, egalité, fraternité” per rendersi conto della diffusione che questo tema ha avuto anche in ambito laico”. La parola “fratello” è richiamata, quasi a percussione, per ben quattro volte nel giro di due versetti, nel libro della Genesi. Quasi la voce di Dio volesse inciderla nell’animo di Caino, ma anche di ciascuno di noi: “ Allora il Signore disse a Caino: ”Dov’è Abele , tuo fratello?”. Egli rispose: “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Riprese: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo. Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano”. E la parola ritorna nel brano del vangelo: Chi dice al fratello: “Stupido…E chi gli dice: “Pazzo”…E ancora: “Se lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te…”. Dobbiamo riconoscere che la parola si è scolorita, ma oggi i testi ce la restituiscono incandescente. E noi la rinominiamo. A dispetto dell’aria che respiriamo. E la custodiamo, come terra preziosa. Non ci è facile – lo ammettiamo –decifrare che cosa è accaduto nell’animo di Caino, capire il subbuglio del suo cuore. Ma una cosa sembra di capire: che lui faccia fatica a sopportare che nella sua vita sia entrato un altro: prima – perdonate se mi esprimo così – il territorio era suo, sino ad allora non erano esistiti i fratelli. Ora ne esiste uno. “Che bello” – dovresti dire – “ho un fratello”. E invece lo vedi come l’arrivo di un concorrente, con cui dividere, con cui condividere. Ma la terra è tua? E’ tua proprietà? La felicità è solo tua? Non dico che non ci sia forse anche la fatica di una restrizione, ma quando si ama – voi me lo insegnate – c’è sempre anche una restrizione, ma è per far posto all’altro. Bella la restrizione se è la restrizione dell’amore. Ma dobbiamo ancora dirle queste cose? “Fa’ posto, fa spazio nella tua tenda, c’è un fratello, uno come te, generato come te”. Voi mi capite, tutto dipende da come noi guardiamo l’altro: fratello o concorrente? Il testo insiste sullo sguardo, parla dello sguardo di Caino come di uno sguardo abbassato. Lo sguardo è un segnale: se tu fissi lo sguardo dell’altro, lì si apre una crepa da cui capire che cosa si muove nel suo cuore. Mi è capitato spesso di dire che c’è un modo, oserei dire infallibile, o quasi, per fare la verità sull’altro. Quando ascolti certi discorsi guarda in faccia chi sta parlando, soffermati sul suo sguardo. Penso che tu capirai molto. Oggi il vangelo dice: “Attenti alle parole”. Non basta non uccidere, attenti alle parole! Le parole parlano per noi, dicono qualcosa di noi, sono segno di ciò si muove dentro di noi. Per questo Gesù ci dice: “Non basta non uccidere”. L’uccidere è il risultato, l’uccidere viene dal fatto che l’altro ha perso dignità ai tuoi occhi, non è un essere umano, è “stupido”, è “pazzo”. Non so se avete colto – immagino sì – l’attualità bruciante di questo passo del vangelo. Altro che “stupido” e “pazzo”! Siamo arrivati a udire frasi, rivolte ad altri, che dieci anni fa mai avremmo immaginato di sentire, tanta è la volgarità, una vera vergogna. Ma forse la vergogna delle vergogne è che ce ne stiamo abituando. Vergogna delle vergogne è che non ci sia un sussulto, un moto di indignazione e di ribellione per questa volgarità che svela l’abisso del disprezzo e svela un decadimento inquietante in umanità, Ma che cosa siamo? Che cosa stiamo diventando? Possiamo ancora usare la parola fratello? È possiamo ancora chiederci dov’è Abele? Chiederci se è solo Dio o siamo anche noi a udire il grido del sangue che viene dalla terra? Chiederci quale sorte tocca agli abele di oggi? Posiamo ancora chiedercelo? O la risposta è: “Sono forse io il custode di mio fratello?”. “Custode” è parola sacra. C’è una legatura imperdibile, per Dio, tra le due parole “fratello” e “custode”. Tu diventi custode, perché l’altro è tuo fratello. E non ci sono eccezioni, se tutti siamo figli e nessuno bastardo. Custodi, pensate, come Dio. Di cui nel salmo si dice che “non sonnecchia, non prende sonno”. Se guardiamo con occhi attenti i fenomeni che oggi stanno sotto i nostri occhi ci verrebbe da dire che abbiamo troppo sonnecchiato. Sino a prendere sonno. E che è ora di risvegliare le coscienze. Vorrei finire dicendo la bellezza di essere custodi. Una bellezza che resiste anche oggi. Se abbiamo occhi la vediamo. E se abbiamo cuore ci commuoviamo.