Pubblichiamo un articolo tratto da Rete Sicomoro sulla situazione in YEMEN.
Foto: da famiglia cristiana
La situazione oggi in Yemen è più che drammatica: un conflitto sporco che va avanti da più di due anni e di cui conosciamo poco forse anche perché pochi saranno i profughi che verranno in Italia da quelle zone. E così il disinteresse è generale». È una guerra dimenticata quella che sta vivendo questo Paese, come ha ricordato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Nel giugno scorso, insieme a Medici Senza Frontiere, Oxfam, Movimento dei Focolari, Fondazione Finanza Etica, Rete italiana per il Disarmo e Rete per la Pace, Amnesty International ha presentato un appello ai parlamentari italiani perché si blocchi la fornitura di armi all’Arabia Saudita, alla guida di una coalizione colpevole di almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale. Il prezzo della lotta fra i ribelli houthi, sciiti e filoiraniani, e i sunniti del presidente Hadi, sostenuti da Riyadh e dai suoi alleati, ricade, come sempre, sull’inerme popolazione civile.
Lo Yemen non è produttore di petrolio e non è mai stato un Paese ricco. Ma oggi è in atto una grave crisi umanitaria. Come attesta l’ong Oxfam, che affronta sul campo da luglio 2015 questa emergenza, ci sono oltre 3 milioni di sfollati, 21 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria e oltre 14 milioni non possono permettersi abbastanza cibo. I prezzi degli alimenti sono saliti alle stelle e milioni di bambini rischiano letteralmente di morire di fame.
La storia di Murad Hreib, 22 anni, è emblematica della miseria in cui è sprofondata la gente dello Yemen. Murad è originario di Saada dove è andato a scuola, ha iniziato a lavorare come commerciante, si è sposato ed è diventato padre di due bambini. La guerra ha costretto lui e la sua famiglia ad abbandonare la casa per spostarsi in un’altra città, Khamer. «Quando il conflitto è iniziato, gli aerei sopra le nostre teste miravano alla zona militare vicina al nostro quartiere.
Un giorno, mi trovavo al negozio e al ritorno ho trovato mia moglie e i miei bambini spaventati a morte. Adesso, ogni volta che sentono un aereo, cominciano a urlare, perché hanno paura di essere colpiti», racconta. Oggi Murad cerca di cavarsela guidando un moto taxi, che gli consente di guadagnare 800-100 riyal (3-4 dollari) al giorno. Deve pagarsi le spese dal carburante e della manutenzione della moto. La casa che hanno affittato a Khamer costa 10 mila riyal (40 dollari) e per procurarsi l’acqua da bere servono 5 mila riyal (20 dollari) al mese.
«Guido la mia moto tutto il giorno e torno a casa esausto. Non abbiamo una fonte regolare di reddito, adesso siamo lontani dalla nostra casa, dai nostri amici e da tutti i nostri ricordi. Stiamo cercando di sopravvivere», dice Murad. «Quando nella città di Khamer fa freddo, mia figlia piccola si ammala continuamente ma io riesco solo a comprare un po’ di antibiotici in farmacia, perché ma non posso permettermi di portarla in ospedale». Attraverso Oxfam, Murad ha usufruito di aiuti per comprare il cibo per la sua famiglia. Il giovane yemenita cerca di essere ottimista, e si accontenterebbe di poco: tornare a casa, riprendere la sua attività in negozio e vivere in pace.
Fekri, che vive nel villaggio di Al-Jalilah, nel governatorato di Al-Dhal, ha 40 anni ed è padre di quattro bambini. Non ha un reddito fisso e la sua sopravvivenza dipende ogni giorno da quanti prodotti riesce a vendere al mercato. «La vita qui è difficile. Abbiamo dovuto ridurre anche il nostro consumo di acqua perché costa molto. Più della metà dei nostri soldi viene spesa per l’acqua», racconta. Oxfam ha sostenuto Fekri e altri 4700 abitanti del villaggio di Al-Jalilah costruendo un serbatoio d’acqua collegato al villaggio con una pompa, per permettere loro di diminuire il costo dell’acquisto dell’acqua del 60 per cento.
Per Sabeer, 12 anni, la guerra ha significato perdere un tetto sopra la propria testa. Vive insieme ai genitori e ai fratelli in una piccola capanna nel villaggio di Al-Awamer, nel governatorato di Hajjah. A causa della mancanza di spazio, Sabeer è costretto a dormire all’aperto. Sono fuggiti dalla loro casa due anni fa, per via del conflitto. Il padre, Rabii Mohammed, faceva il pastore ma la guerra ha distrutto la sua attività: 70 delle 110 pecore che possedeva sono morte e per andare avanti sono stati obbligati a vendere la maggior parte degli animali rimasti.
Oggi Rabii Mohamed non ha più un lavoro. Cerca di raggranellare qualcosa, quando può, qualcosa vendendo legname o aiutando altri agricoltori. «Non posso nemmeno dare un pezzo di pane ai miei figli. Mi sento impotente. Le uniche cose che sogno di avere al momento sono cibo e medicine», racconta. Grazie a Oxfam, ha ricevuto aiuti per una somma equivalente a 98 dollari, che gli hanno permesso di comprare cibo per la sua famiglia.
A fatica possiamo immaginare lo stato d’animo di chi è appeso al filo degli aiuti per sopravvivere. Gli yemeniti, prima della guerra, erano un popolo mediamente non ricco, ma dignitoso, orgoglioso delle sue radici e dei legami familiari, e capace di accontentarsi con poco. Oggi anche quel poco è venuto meno.
Maria Tatsos
(articolo tratto da www.mondoemissione.it)