Pubblichiamo un articolo di Nigrizia – 17 maggio 2017  

Prezzi alle stelle in Africa orientale di Bruna Sironi

La maggioranza della popolazione in Kenya ed Uganda fatica ormai ad acquistare generi alimentari di prima necessità come farina di mais, patate, latte e zucchero, i cui prezzi d’acquisto al dettaglio sono lievitati in media dal 20 al 40 per cento in un anno. Alcuni alimenti cominciano anche ad essere difficilmente reperibili. Alla base della crisi ci sono fattori climatici e naturali, ma anche errori nelle politiche governative e speculazioni, commerciali e finanziarie.

Il costo del cibo sta diventando l’oggetto di conversazione più comune nei paesi dell’Africa orientale, e in modo particolare in Kenya e in Uganda. In pochi mesi, infatti, i prezzi degli alimenti più usati sono aumentati in modo così considerevole che molte famiglie sono state costrette a ridurne, anche drasticamente, il consumo giornaliero. Nei giorni scorsi il Daily Nation, il giornale più diffuso del Kenya, titolava in prima pagina che il sito più cliccato ultimamente nel paese è quello che dà la ricetta del chapati, una crépe fatta con la farina di grano, alludendo al fatto che la farina di mais, base dell’alimentazione del paese, è diventata così cara che molti non possono più permettersi di usarla tutti i giorni.

In Kenya, infatti, il cibo di base è l’ugali, una polenta fatta di farina di mais bianco. In due anni il prezzo all’ingrosso di un sacco di mais da 90 chili è passato dai 27,5 dollari del 2015, ai 30,4 del 2016 ai 42,7 di oggi. Al dettaglio, un pacco di due chili di farina costa ora in media tra i 150 e i 180 scellini (tra 1,46 e 1,75 dollari) a secondo della località. Era attorno ai 100, 120 scellini, in media, poche settimane fa.

Un incremento di prezzo notevole si registra anche per le patate, altro cibo quotidiano in molte zone del Kenya, per il latte, diventato non solo più caro ma anche meno abbondante sul mercato, come lo zucchero, che da mesi è quasi razionato, nel senso che anche i grossi supermercati consentono un acquisto massimo di due pacchi da 2 chili per volta.

Anche altri cibi che costituiscono la dieta quotidiana della popolazione, soprattutto la più povera, come i fagioli e il sukumawiki, una verdura diffusissima e famosa per essere veramente alla portata di tutti, sono aumentati notevolmente.

La situazione non è diversa in Uganda, dove un sacco di mais costava 25,3 dollari a giugno dell’anno scorso, mentre ora ha raggiunto i 43,5. Il prezzo dell’altro cibo di base nel paese, la banana verde, conosciuta localmente come matoke, è raddoppiato in un anno, passando dai 20.000 scellini ugandesi ai 40.000. Un po’ meglio sta la Tanzania, dove l’ultimo considerevole aumento del prezzo del mais si è verificato l’anno scorso.

Secondo l’East Africa Grain Council (Eagc) l’organizzazione regionale di monitoraggio del mercato, e la Fao (l’organizzazione internazionale per il cibo e l’agricoltura), il prezzo dei prodotti alimentari più consumati sono aumentati in media dal 20 al 40% in un anno.

 

Fattori climatici

L’aumento del costo del cibo nell’area è causato da un complesso di fattori che hanno ridotto drasticamente la produzione in vaste aree della regione. Tra queste, la prolungata siccità, aggravata dalle infestazione di diversi parassiti e in particolare dai bruchi che hanno attaccano le coltivazioni di mais. La scarsa produzione ha indotto i governi a bloccare le esportazioni. Dal giugno dell’anno scorso a marzo di quest’anno è stato commerciato un terzo del mais immesso sul mercato regionale nei cinque anni precedenti. Anche il prezzo sul mercato internazionale è alto, così che non sono state possibili operazioni di calmieramento.

In aprile, in un tentativo, rivelatosi inutile, di abbassare il prezzo della farina di mais, il governo keniano, alle prese con un’infuocata campagna elettorale, aveva distribuito ai commercianti e ai mulini 750.000 sacchi di mais, presi dalla riserva strategica nazionale di derrate alimentari. Ne ha poi consentito l’importazione da privati, attingendo dal mercato internazionale. La prima nave cargo piena di mais messicano è arrivata a Mombasa la scorsa settimana. Un’altra arriverà prossimamente. Ma le modalità in cui l’importazione è avvenuta stanno suscitando perplessità nel paese.

 

Politiche miopi

Si profila uno scandalo – almeno leggendo la stampa più diffusa nel paese – al quale il governo pensa di far fronte immettendo sul mercato farina di mais a prezzo fortemente calmierato. Sono state incoraggiate anche importazioni private controllate di zucchero e latte in polvere esentasse, ma troppo tardi per calmierare l’aumento dei prezzi al dettaglio. Il portavoce governativo keniano ha esortato i produttori locali e i commercianti a fare la loro parte, evitando però operazioni di accaparramento e aggiotaggio.

Questo confermerebbe quanto dichiarato dall’Eagc, secondo cui nella difficile situazione del mercato delle derrate alimentari hanno pesato anche errori nelle politiche governative dei paesi dell’area, oltre che speculazioni commerciali e finanziarie. Anche per questo, secondo le previsioni dell’agenzia, i prezzi continueranno a rimanere molto alti per molti mesi ancora.