ESSERE FINALMENTE UMANI
1° parte dell’articolo
tratto da Rete Sicomoro
Alcune premesse indispensabili. Non sono né una studiosa né un’intellettuale. Non un’esegeta né tanto meno una teologa. Non sono qui ad altro titolo che come donna che, volendo essere discepola di Gesù e vivendo la vita monastica, pratica una frequentazione assidua delle Scritture tutte e in particolare del Vangelo. Ciò di cui desidero parlare è l’intelligenza e la libertà di Gesù, che emergono con tanta forza dai Vangeli, e che tanto ci stupiscono e ci affascinano.
Ancora di più di quanto fosse buono, mite, compassionevole e giusto, Gesù era intelligente, e libero. Non capisco perché non sia mai stato detto che era l’uomo più intelligente del mondo. Forse perché nella chiesa c’è stata spesso una certa diffidenza verso l’intelligenza, come se non fosse un dono dello Spirito santo ma una sua concorrente, come se fosse l’anticamera della disobbedienza all’autorità. Mentre l’intelligenza e la libertà sono proprio ciò che è indispensabile a un’obbedienza evangelica e dunque umana a tutti e a tutto, compresa l’autorità.
E così, non ci si sofferma normalmente ad ammirare e a cercare di comprendere umanamente le sue parole. Così spesso ci sono state trasmesse come un messaggio pio, o altruista, o eroico e, soprattutto, come un messaggio religioso. Mentre Gesù dai Vangeli ci appare proprio come l’uomo meno “religioso” e il più umano che ci sia, il più libero dalla propria tradizione religiosa e culturale, uno che non fa mai nulla solo perché si è sempre fatto così! E poi, e questa è la libertà più importante, è libero dalla preoccupazione per se stesso.
Gesù non è venuto tra noi per indicare una via ideale per i migliori; dice infatti: ”Non sono venuto per i sani ma per i malati, non per i giusti ma per i peccatori”. Gesù, conoscendo la povertà della vita e le sue angustie, e sapendo che, almeno per i poveri, la vita è una povera e faticosissima cosa, in tutto ciò che dice e fa ci traccia un sentiero perché possiamo imparare a vivere nella libertà e nell’amore nonostante tutte le avversità che ci vengono da fuori e da dentro il cuore. Ogni parola di Gesù è una parola di libertà, che apre un sentiero – stretta è la strada come stretta è la porta – di libertà dalle nostre intime schiavitù e angustie, per poter vivere nell’amore le angustie che ci vengono da fuori di noi.
I Vangeli ci mostrano in molti episodi la libertà di Gesù: libertà dalla famiglia, dai legami e tradizioni e abitudini famigliari, e dalle abitudini e tradizioni e pregiudizi religiosi; le due appartenenze più forti al suo tempo, e forse ancora al nostro. Libertà che vive lui in prima persona e alla quale chiama anche noi. Nei confronti della sua tradizione religiosa, Gesù non ha rigettato né lasciato cadere la Torà, la legge di Mosè, né il suo popolo Israele. Gesù ha lasciato cadere solo il Tempio, lo spazio sacro, perché escludeva.
E ha detto “Voglio misericordia e non sacrifici” facendo sua la parola che Dio aveva detto per bocca del profeta Osea, e quella che aveva detta per bocca di Geremia: ” Io non ho parlato affatto di sacrifici quando vi feci uscire dall’Egitto, ma vi ho comandato di ascoltare la mia voce”. Per Gesù i sacrifici narrano un Dio religioso, cioè un Dio che esige offerte dagli umani, un dio divoratore e non donatore, mentre Gesù ci racconta di un Dio che ci ha donato il mondo perché lo condividiamo, un Dio tre volte misericordioso, compassionevole, amico degli esseri umani, che ci chiama tutti e tutte alla comunione con lui per insegnarci a vivere nell’amore e nella libertà.
Già nel roveto ardente, che Gesù citerà a proposito della resurrezione, Mosè aveva ricevuto la meravigliosa rivelazione di un Dio che abita nella creatura senza affatto consumarla; c’era già lì la smentita dell’immagine di un fuoco divino divoratore; Shekinà è il nome ebraico della mite e umile presenza di Dio in noi e tra di noi. E Gesù ha anche ridimensionato l’importanza della famiglia, perché anch’essa esclude quelli fuori, e spesso imprigionando quelli dentro.
Gesù non ha riconosciuto come pensiero di Dio, e dunque ha lasciato cadere, ha escluso, solo l’esclusione, e tutto ciò che era occasione di esclusione. Questa è la cosa meravigliosa che emerge a ogni passo nei Vangeli: Gesù non ha riconosciuto come intenzione e pensiero di Dio l’esclusione di nessuno e di nessuna. Basterebbe questa verità di Gesù a renderlo amabile al di sopra di tutto e di tutti per chi soffre esclusione, come tutte le persone troppo povere o schiave, come i malati, i pubblici peccatori, i ciechi e “indemoniati” – erano chiamati così i malati psichici o neurologici – e le donne, sempre escluse in molti modi.
C’è dunque la sua libertà dalla famiglia e dalle sue pretese “tradizionali”. Pensiamo all’episodio di Mc 3.34-35, in cui la madre di Gesù e i suoi fratelli vanno a trovarlo mentre sta predicando attorniato da discepoli e discepole e dalla folla. Poiché non riescono a raggiungerlo, gli mandano a dire: ”Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti”. Gesù, girando lo sguardo attorno, risponde: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre.”
O quel passo, meraviglioso, di Lc 11,27-28 al quale si pensa troppo poco. Una donna nella folla, affascinata dall’autorevolezza di Gesù, dal suo potere sui demoni e dalla sua sapienza, esprime con entusiasmo la sua gioia e il suo riconoscimento di lui nell’unico modo insegnato all’immaginazione di una donna: “Beata colei che ti ha portato nel grembo, e le mammelle che ti hanno allattato!”, non riuscendo a immaginare con quell’uomo di Dio altra relazione possibile di beatitudine che quella materna.
E Gesù si dimostra straordinario dicendole: No! Non hai nessun bisogno di essere madre, mia madre, per essere beata. Ti basta ascoltare la parola di Dio che io racconto e che vivo. Ascoltare la parola di Dio e osservarla, metterla in pratica, viverla: ecco la beatitudine di una donna. Proprio come per un uomo. Per discepoli e discepole, la beatitudine è la stessa: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. Nessuno mai se non Gesù disse così a una donna, facendo capire, a lei e a noi, la possibilità di non essere, per forza, in una relazione famigliare di moglie e di madre, perché ciò che fa di noi delle donne di Dio è ascoltare e praticare la sua parola.
Questa parola fonda la libertà delle discepole di Gesù dall’unico ruolo concesso a loro su questo pianeta, la maternità: non è obbligatorio, e non è l’unico!- dice Gesù. Già nell’episodio della Visitazione – quel racconto simbolico pieno di echi della Scrittura e di anticipazioni evangeliche – Maria, la madre di Gesù, è dichiarata beata per aver ascoltato e creduto alla parola del Signore, e non per esserne diventata la madre. La maternità di Maria è il frutto e l’eloquenza del suo ascolto pieno di fede della Parola e dello Spirito del Signore.